I tifosi e la Ferrari, è tutta questione di mentalità
10 Gennaio 2017 - 17:20
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Correva l’anno 1998 quando per la prima volta in vita mia mi imbattevo nel mondo della Formula 1, grazie alla passione per la Ferrari trasmessa dai miei genitori. Il 1998 rappresentò l’ultimo degli anni di calvario dei tifosi della Rossa, in attesa di un titolo costruttori dal 1983 e di un titolo piloti addirittura dal 1979. Insomma, a Maranello e dintorni l’astinenza si faceva sentire forte, e la vittoria sfuggita all’ultima gara del 1997 non aveva fatto altro che aumentare l’acquolina in bocca. Il 1998 fu l’anno della sfida contro le McLaren di Mika Hakkinen e David Coulthard, con tante gare vissute ad osservare Schumi alle spalle delle frecce d’argento. Ricordo che l’aspettativa riposta dai tifosi nella Ferrari era molto elevata, tanto che il terzo gradino del podio rappresentava spesso una delusione, per me come per tutti i fan della rossa.

Diciannove anni dopo, la situazione è per certi versi cambiata. Stiamo vivendo il terzo digiuno più lungo della nostra storia in termini di titoli piloti, aspettando Godot dopo il trionfo incredibile di Kimi nel 2007 e l’altrettanto incredibile beffa accaduta a Felipe nel 2008. Eppure, la mentalità è cambiata, in primis nei tifosi. Il 2014, anno certamente più buio della storia recente della Ferrari (con il quale si è anche interrotta una striscia di 20 stagioni consecutive con almeno una vittoria), ha lasciato un solco profondo nel cuore dei tifosi, che hanno iniziato dal 2015 ad “accontentarsi”. E ciò, nonostante i forti proclami di Marchionne, è continuato anche nella stagione 2016. Pensate ai podi ottenuti dai piloti in rosso, ed in particolare a quello di Vettel a Monza: io ero in mezzo alla marea rossa sottostante il podio più affascinante del mondiale e ad un certo punto mi è quasi sorto il dubbio che avesse vinto Sebastian, giunto invece terzo al traguardo. Molti di voi penseranno che è logico che a Monza ci sia una reazione tanto calorosa anche per un “banale” podio dietro alle Mercedes. Eppure, 19 anni fa non sarebbe stato così, il podio sarebbe stato vissuto più come una sconfitta, mentre oggi fa quasi urlare vittoria. Attenzione: la mia non vuole essere una critica ai tifosi del giorno d’oggi, perché il vero problema è che anche io mi sono assuefatto a questo “accontentarsi”. Dopo le tante delusioni degli ultimi anni, alla fine del gran premio mi sento sollevato se Sebastian o Kimi sono presenti nella top 3, anche alle spalle della Mercedes o RedBull che sia. Ma razionalmente non è giusto, perché stiamo parlando della FERRARI, la scuderia di Formula 1 più vincente della storia e che detiene la maggior parte dei record.

Il 2017, grazie ai notevoli cambi regolamentari, è l’ennesimo anno zero della storia della Formula 1, uno di quegli anni in cui c’è spazio per grandi novità e nuovi possibili egemonie, dopo quella della RedBull, iniziata a cavallo del 2009-2010 e terminata nel 2013, e quella della Mercedes, avviatasi nel 2014 con l’avvento delle Power Unit e proseguita nettamente fino al 2016, in attesa del futuro che verrà scritto. Come ogni anno, le domande dei tifosi in rosso sono le solite: come sarà la nuova Ferrari? Riuscirà a recuperare il gap dai top team (in questo caso Mercedes e RedBull)? Riuscirà a stabilire una nuova leadership capace magari di durare per i prossimi anni?

La risposta la troveremo in primis nelle prestazioni in pista, ma non solo. Ognuno dei tifosi della Rossa troverà la risposta dentro di sé: basterà vivere le sensazioni post-gara. Se un terzo posto rappresenterà una mezza delusione, significa che allora staremo ritrovando la Ferrari che tutti vogliamo e con essa la mentalità vincente che onora la storia di questo team. Se invece gli eventuali terzi posti di Sebastian o Kimi porteranno soddisfazione e fierezza, allora significa che ci staremo adagiando su un altro anno (e, chissà, forse un altro ciclo) fatto di illusioni, tante parole e pochi fatti.

A proposito delle parole, mi piace riprendere anche le classiche interviste a Maurizio Arrivabene che ascoltiamo di consueto nel post-gara. Da due anni a questa parte, Iron Mauri ha sempre commentato i podi come fossero un “contentino”, ma non il vero obiettivo della Ferrari. Maurizio ha sempre espresso frasi del tipo “va bene, bravi, ci stiamo avvicinando, ma noi vogliamo e dobbiamo essere lassù”, indicando il gradino più alto. Vedete, anche in questo caso ci stiamo agganciando al discorso delle aspettative e della mentalità. Il lavoro fatto dal team nel 2015 è stato di gran livello, soprattutto considerando la rivoluzione a cavallo del periodo natalizio e la ricostruzione quasi da “zero” di una macchina che era stata inizialmente progettata da coloro che avevano prodotto quella “aspirapolvere” del 2014 (dal muso e dalle prestazioni mi è sempre piaciuto chiamarla così). Ma l’espressione “gran livello” associata al 2015 deriva soprattutto dal baratro del 2014, perché se i risultati del 2015 fossero stati raggiunti ad esempio nel 1998, non sarebbe stato tutto rose e fiori. E proprio l’ultimo anno ci ha insegnato questo, perché in tanti si aspettavano una Ferrari vincente a Melbourne 2016 (lo proclamò per primo Marchionne), ma ciò non è accaduto (a dire il vero anche per circostanze fortuite). Di lì in poi, è iniziato di nuovo il processo dell’”accontentarsi”, tanto che nella seconda parte di stagione i podi di Monza ed Abu Dhabi (per non parlare di quello ingiustamente tolto in Messico, con Arrivabene che accompagnava trionfalmente Vettel ai festeggiamenti), sono sembrate delle vittorie. Maurizio Arrivabene, con le sue parole, sta cercando dunque di ricostruire quella mentalità vincente, sta cercando di dire ai tifosi di non accontentarsi e di guardare più in alto. Ma oggi le parole non bastano più: noi tifosi della Ferrari abbiamo bisogno di vedere la Ferrari in alto per credere veramente nella Ferrari. Altrimenti, rischieremo di aspettare Godot ancora per lungo tempo…

Lorenzo D’Oca – Campione 2016 del Formula Game